Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/23

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Sien state, agl’Indi, agli Etiopi, e oltre.
    Degli uomini son varii gli appetiti;
A chi piace la chierca, a chi la spada,
A chi la patria, a chi li strani liti.
    Chi vuole andare attorno, attorno vada;
Vegga Inghilterra, Ongheria, Francia e Spagna:
A me piace abitar la mia contrada.
    Visto ho Toscana, Lombardia, Romagna,
Quel monte che divide e quel che serra
L’Italia, e un mare e l’altro che la bagna.
    Questo mi basta: il resto della terra,
Senza mai pagar l’oste, andrò cercando
Con Tolomeo, sia il mondo in pace o in guerra.

Ma non è lasciato vivere, e ha tra’ piedi il Cardinale, e ne sente una stizza che sfoga con questo e con quello. Qualche rara volta la stizza si alza a indignazione e gli strappa nobili accenti:

    Apollo, tua mercè, tua mercè, santo
Collegio delle Muse, io non possiedo
Tanto per voi, che possa farmi un manto.
.......
    Or conchiudendo dico che se il sacro
Cardinal comperato avermi stima
Con li suoi doni, non mi è acerbo ed acro
    Renderli, e tor la libertà mia prima.
.......
    Se avermi dato onde ogni quattro mesi
Ho venticinque scudi, nè sì fermi,
Che molte volte non mi sien contesi,
    Mi debbe incatenar, schiavo tenermi,
Obbligarmi ch’io sudi e tremi, senza
Rispetto alcun ch’io muoja o ch’io m’infermi;
    Non gli lasciate aver questa credenza:
Ditegli che piùttosto ch’esser servo,
Torrò la povertade in pazienza.