Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/259

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quegli effetti che sono l’ultimo termine del corso della nostra facoltà discorsiva. Dio dunque è materia di fede e di rivelazione, e secondo la teologia e ancora tutte riformate filosofie è cosa da profano e turbolento spirito il voler precipitarsi a definire circa quelle cose che son sopra la sfera della nostra intelligenza. Dio è tutto quello che può essere, in lui potenza e atto sono la medesima cosa, possibilità assoluta, atto assoluto. L’uomo è quel che può essere; ma non è tutto quel che può essere. Quello che è tutto quel che può essere, è uno il quale nell’esser suo comprende ogni essere. Lui è tutto quel che è e può essere. In lui ogni potenza e atto è complicato, unito e uno; nelle altre cose è esplicato, disperso e moltiplicato. Lui è potenza di tutte le potenze, atto di tutti gli atti, vita di tutte le vite, anima di tutte le anime, essere di tutto l’essere. Perciò il rivelatore lo chiama Colui che è, il Primo e il Novissimo, poichè non è cosa antica e non è cosa nuova, e dice di lui: Sicut tenebrae ejus, ita et lumen ejus. Atto assolutissimo e assolutissima potenza, non può esser compreso dall’intelletto se non per modo di negazione; non può esser capito, nè in quanto può esser tutto nè in quanto è tutto. Ond’è che il sommo principio è escluso dalla filosofia, e Bruno costruisce il mondo, lasciando da parte la più alta contemplazione, che ascende sopra la natura, la quale a chi non crede è impossibile e nulla. Quelli che non hanno il lume soprannaturale, stimano ogni cosa esser corpo, o semplice, come l’etere, o composto, come gli astri, e non cercano la Divinità fuor dell’infinito mondo e delle infinite cose, ma dentro questo e in quelle. Questa è la sola differenza tra il fedele teologo e il vero filosofo. E Bruno conchiude: Credo che abbiate compreso quel che voglio dire. Il medio evo avea per base il soprannaturale e l’estramondano; Bruno lo ammette come fedele teologo,