Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/26

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stiche, i suoi umori con la corte, i suoi piccoli fastidii, i suoi amori, le sue relazioni letterarie, i suoi interessi privati sono tutta la sua preoccupazione allora appunto che l’Italia era corsa da’ barbari e si dibatteva nella sua agonia. Il borghese colto, spensierato, pigro, tranquillo, ritirato nella famiglia o tra le allegre brigate, è tutto qui con la sua quiete e il suo fuge rumores. Ci è in questo ritratto un po’ di Orazio, ma l’imitazione è qui natura, è somiglianza d’anima e di genio. Il riso è puro di amarezza e di disprezzo, perchè senti che l’uomo di cui tu ridi, è onesto, gentile, ingenuo, inoffensivo, ha tutte le qualità amabili delle anime deboli e buone. Non ci è il capitolo e non la satira, perchè quell’uomo non si propone di berteggiare, nè di censurare, ma unicamente di sfogare il suo umore col fratello o l’amico. E perciò la sua narrazione è mescolata di osservazioni, facezie, motti, proverbii, movimenti stizzosi d’immaginazione, tratti e pitture satiriche, e soprattutto di apologhi graziosissimi, piccoli capilavori. La terza rima, il linguaggio eroico e tragico del medio evo, il linguaggio della Divina Commedia e dei Trionfi, in questa profonda trasformazione letteraria diviene il linguaggio della commedia, il metro del capitolo, della satira, e della epistola, con una sprezzatura che arieggia alla prosa. La parabola si compie in queste Epistole dell’Ariosto, dove la terzina è profondamente modificata, e prende forma pedestre; aguzzata e sentenziosa, come un epigramma o un proverbio.

La terzina, come il sonetto e la canzone, era il genere letterario e tradizionale. L’ottava, la cui immagine si vede già abbozzata ne’ rispetti e ne’ canti popolari, era il linguaggio de’ romanzi, delle narrazioni e delle descrizioni, recata a perfezione dal Poliziano. Era il linguaggio di moda e popolare. E la terzina sarebbe rimasta, come il sonetto e la canzone, stazionaria e convenzionale, se il Berni e l’Ariosto non le avessero dato