Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/273

Da Wikisource.

― 261 ―

si affaccia sull’ingresso del mondo moderno la statua colossale di Bruno.

Il suo supplizio passò così inosservato in Italia, che parecchi eruditi lo mettono in dubbio. Nè le opere sue vi lasciarono alcun vestigio. Si direbbe che i carnefici insieme col corpo arsero la sua memoria. Anche in Europa il brunismo lasciò deboli tracce. Il progresso delle idee e delle dottrine era così violento, che il gran Precursore fu avvolto e oscurato nel turbinio. Come Dante, Bruno attendeva la sua risurrezione. E quando dopo un lungo lavoro di analisi riappare la sintesi, Jacobi e Schelling sentirono la loro parentela col grande italiano, e riedificarono la sua statua.

In Bruno trovi la sintesi ancora inorganica della scienza moderna, con le sue più spiccate tendenze, la libera investigazione, l’autonomia e la competenza della ragione, la visione del vero come prodotto della attività intellettuale, la proscrizione delle fantasie, delle credenze e delle astrazioni, un più intimo avvicinamento alla natura o al reale. Dico tendenze, perchè nel fatto l’immaginazione e il sentimento soprabbondavano in lui, e gli tolsero quella calma armonica di contemplazione, senza la quale riesce difettiva la virtù organizzatrice, e quella pazienza di osservazione e di analisi, senza la quale le più belle speculazioni rimangono infeconde generalità.

Quanto alla sua sintesi, il Dio astratto ed estramondano fatto visibile e conoscibile nella infinita Natura, l’unità e medesimezza di tutti gli esseri, l’eternità e l’infinità dell’universo nella perenne metempsicosi delle forme, il sentimento dell’anima o della vita universale, l’infinita perfettibilità delle forme nella loro trasformazione, la produttività della materia dal suo intrinseco, l’azione dinamica della natura nelle sue combinazioni, la libertà distinta dal libero arbitrio e rappresentata come la stessa effettuazione del Divino o della legge, la