Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/374

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nimità, forza o grandezza di animo, com’è il perdono delle offese, il sacrificio dell’amore, o della vita. Situazione tragica se mai ce ne fu, anzi il fondamento della tragedia. Ma qui rimane per lo più elegiaca, feconda di emozioni superficiali, momentanee e variate, che in ultimo sgombrano a un tratto e lasciano il cielo sereno. La generosità degli uni provoca la generosità degli altri, l’eroismo opera come corrente elettrica, guadagna tutt’i personaggi, e tutto si accomoda come nel migliore dei mondi, tutti eroi e tutti contenti. Di questa superficialità che resta ne’ confini dell’idillio e dell’elegia, e di rado si alza alla commozione tragica, la ragione è questa, che la virtù vi è rappresentata non come il sentimento di un dovere preciso e obbligatorio per tutti, corrispondente alla vita pratica, ma come un fatto maraviglioso, che per la sua straordinarietà tolga il pubblico alla contemplazione della vita comune. Perciò è una virtù da teatro, un eroismo da scena. Più le combinazioni sono straordinarie, più le proporzioni sono ingrandite, e più cresce l’effetto. I personaggi posano, si mettono in vista, sentenziano, si atteggiano, come volessero dire: attenti! ora viene il miracolo, Temistocle dice:

                            Sentimi, o Serse:
Lisimaco, m’ascolta; udite, o voi,
Popoli spettatori,
Di Temistocle i sensi; e ognun ne sia
Testimonio e custode.»

In questo meccanismo trovi sempre la collisione, il contrasto tra l’eroismo e la natura. L’eroismo ha la sua sublimità nello splendore delle sentenze. La natura ha il suo patetico nelle tenere effusioni de’ sentimenti. Ne nasce un urto vivace di sentimenti e di sentenze, con alterna vittoria e con crescente sospensione, come nel soliloquio di Tito, insino a che natura ed eroismo fanno