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tisi in difesa del papa, del suo governo e dell’ordine di cose esistente in Roma nel 1831, di quelle ingrate e scoraggianti che si risposero a Pio IX, allorquando interpellati i capi del comando civico nel 1848: se poteva fare assegnamento sulla fedeltà e sul sostegno della guardia civica, gli si disse niente meno che: su di essa non era da poterci contare.

Eppure Gregorio non aveva beneficato colle concessioni nè attirato giammai quelle manifestazioni di simpatia e di attaccamento spinto fino al delirio che ottenne Pio IX!

Si raffrontin di grazia queste due epoche e la differenza immensa che presentano nei risultati, e se ne trarrà dai calmi osservatori delle cose umane tale una lezione, che non andrà al certo perduta. La spiegazione però è una sola. Nel 1831 meno grida, meno entusiasmo, ma niuna finzione; e quel che si faceva si faceva con sincerità. La civica del 1831 fu cosa romana e i veri Romani abborriscono la falsità e il tradimento. Quella del 1847 fu opera in parte del riscaldamento delle teste, in parte maggiore della rivoluzione, e questa v’insinuò il suo spirito, le sue tendenze, e i torbidi elementi suoi, in guisa che le frutta che ne rampollarono furon tali, quali dovevano aspettarsi da cosiffatta pianta.

Ritornando ora all’antica guardia civica diremo ch’entrato appena nel gennaio del 1834 al comando generale della medesima il principe Don Domenico Orsini, se ne occupò indefessamente, introducendovi delle utili riforme ed eliminandone parecchi abusi. Contava in quel tempo il corpo civico soli quattrocentocinquantuno individui.

Ottenne il principe anzidetto che il 31 di gennaio 1835 la segreteria di stato confermasse il privilegio di prececedenza della civica sopra i capotori, ch’era la guardia municipale o capitolina, detta ancora milizia urbana. Quindi fu rinnovato e migliorato l’ornamento; cosicchè prima ancora dell’anno 1837 infausto per la invasione del morbo asiatico, il numero dei volontari erasi raddoppiato.