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Ma quel dire così riciso che un re costituzionale equivale ad un capo ereditario di repubblica indur doveva diffidenza e sospetto nei principi italiani, perchè era lo stesso che dire otteniamo, otteniamo la costituzione, e noi avremo una repubblica bella e buona. Crediamo ancor noi che un re costituzionale di poco differisca da un capo di repubblica, ma non pertanto una simile confessione giammai uscir non doveva dalla penna del Gioberti con tanta ingenuità.

La verità poi che emerge dai fatti sovraccennati è questa, cioè che la rivoluzione italiana presentò sempre il dualismo alle prese. Gli Albertisti con Gioberti, Balbo e d’Azeglio alla testa, volevano una cosa. I repubblicani con Mazzini, Garibaldi e Brofferio per loro capi, ne volevano un’altra. Fin da Parigi incominciò la sfida come abbiamo narrato, quindi nella state del 1848 si scelse la città di Milano siccome l’arena fra i contendenti, ed ivi i Fusionisti ebbero a lottare con Mazzini e col suo giornale la Italia del Popolo. Nei 1849 poi il partito vincitore si trasferì ed intronizzò a Roma, e da qui beffeggiava e vituperava il Gioberti qualificandolo da trappolaro e da gomitante; e Carlo Alberto non era più la formidabile spada d’Italia, ma notavasi in vece siccome inetto ad un tempo e tiranno. Così gl’Italiani che a piena gola parlavan di concordia e di unione, detter la prova la più indubitata di quella disunione ch’è stata sempre il loro retaggio.

I consigli del Gioberti però furono ascoltati nel marzo del 1848, perchè il giorno 6 si vide il senato ed il popolo romano ossia il comune di Roma emettere un indirizzo al Santo Padre, col quale s’implorava un governo a forme rappresentative.

Detto indirizzo essendo riferito per intero dal Ranalli1 non che dalla Gazzetta di Roma,2 ci asteniamo dal ripor-

  1. Vedi Ranalli vol. II. pag. 204.
  2. Vedi la Gazzetta di Roma, del 7 marzo 1848 num. 37.