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«Risparmieremo alla nostra dignità la umiliazione di trattenerci su quanto di mostruoso si racchiude in quell’atto abominevole per l’assurdità della sua origine, non meno che per la illegalità delle forme, e per l’empietà del suo scopo; ma appartiene bensì all’apostolica autorità, di cui, sebbene indegni, siamo investiti, ed alla responsabilità che ci lega co’ più sacri giuramenti al cospetto dell’Onnipotente, il protestare non solo, siccome facciamo nel più energico ed efficace modo contro dell’atto medesimo, ma di condannarlo eziandio alla faccia dell’universo, quale enorme e sagrilego attentato commesso in pregiudizio della nostra indipendenza e sovranità, meritevole de’ castighi comminati dalle leggi sì divine come umane».

E quindi, dopo aver proibito di prendere parte alle riunioni relative alla Costituente, aggiungeva:

«In pari tempo vi ricordiamo come questa nostra assoluta proibizione venga sanzionata dai decreti dei nostri predecessori, e dei concili, e specialmente del sacrosanto concilio generale di Trento (Sess. XXII. C. XL de Refor.), nei quali la Chiesa ha fulminato replicate volte le sue censure e principalmente la scomunica maggiore da incorrersi, senza bisogno di alcuna dichiarazione, da chiunque ardisce rendersi colpevole di qualsi voglia attentato contro la temporale sovranità de’ sommi romani pontefici, siccome dichiariamo esservi già disgraziatamente incorsi tutti coloro che hanno dato opera all’atto sudetto ec.»1

Circa all’effetto che produsse in Roma allorquando se n’ebbe piena e positiva cognizione, che fu la domenica 7 gennaio, diremo che le persone pie e credenti in Dio, nel papa, e nelle censure ecclesiastiche, ne furon conturbate e atterrite. Chi poi non ci credeva, se ne rise.


  1. Vedi Motu-propri vol. I, n. 73, e Documenti vol. VIII, n. 1. — Vedi l’atto intero in Sommario, n. 61.