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mente fra loro, rinnovando in grande i tristi e tremendi esempi delle famiglie di Atreo e Tieste.

Altro esempio poi del fanatismo repubblicano venne somministrato dalla festa fatta in Velletri il giorno 4 per prestare il giuramento alla repubblica.

La riunione fu convocata dal colonnello Galletti con ordine del giorno 3.

Si eresse un altare sulla piazza pubblica. Il clero invitato non v’intervenne, meno il sacerdote Meda, ed il cappellano della legione romana Scodalzini.

Dopo la messa fu dal Checchetelli arringata la guardia nazionale, il secondo battaglione della prima legione romana, e i dragoni; e si ripeterono le solite cose sulle usurpazioni dei papi e sui diritti del popolo. Quindi il Galletti snudò la spada, il preside Borgia lesse la formula del giuramento, e tutti gridarono: viva la repubblica.1

In coerenza poi di quanto abbiam detto, che i repubblicani cioè non pensavano che alla loro cara repubblica, quasi che essa soltanto fosse il baluardo e la salvezza d’Italia, citeremo il fatto che quattro estranei a Roma, un Francesco Fossati lombardo, un Sebastiano Fabbri lombardo, un Alessandro Baggio veneto, un Ferdinando Vitagliani napolitano, pubblicarono, il 3 un indirizzo agli Italiani emigrati per indurli ad entrare nella legione, onde combattere per la repubblica. Dell’Italia non facevasi più motto.2

Tanto poi era l’attaccamento per tutto ciò che portava il nome di repubblica, o per quegli stati che in repubblica eransi costituiti, che quantunque i repubblicani versassero in estreme strettezze, fu votato dall’assemblea il giorno 3, un sussidio di scudi cento mila a favore di Venezia, 3 e si confermava con decreto del 5.4


  1. Vedi la Pallade, n. 486.
  2. Vedi la Pallade, n. 485. — Vedi Monitore, pag. 153.
  3. Vedi Monitore del 4, pag. 140.
  4. Vedi detto del 5, pag. 143 e 144.