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bande, e il bacio della pace passò di labbro in labbro, simbolo e pegno della iniziata fraternità.

» Il popolo assisteva affollato al nnovo spettacolo, assai più numeroso e commosso che non appariva negli anni decorsi. Finita la messa, dalia gran loggia del Vaticano, dalla quale il Vicario di Cristo soleva impartire la sua benedizione al popolo sottoposto, quest’anno il popolo libero la ricevette da Cristo medesimo in Sacramento.

» Nessuna parola potrebbe renderci la maestà di questo momento e la commozione del popolo, che sentiva forse la mutata sua condizione nella stessa novità del rito che si compiva. Tutte le bande squillarono, tutti i tamburi furono percossi, le campane sonarono a festa, il cannone dal vicino forte sant’Angelo rimbombò; ma più alto d’ogni suono si levò il grido della moltitudine: viva la Repubblica!

» E la benedizione del Verbo scenderà anche quest’anno copiosa e salutifera sul popolo romano, che seppe distinguere ciò che era dell’uomo, da ciò che era di Dio; la religione di Cristo, dalla scorza che l’offuscava; il vangelo, dalle decretali; la verga del Pastore, dal triregno del Papa; la stola immacolata dell’Agnello, dalla porpora superba dei Cardinali.

» Si chiederà qual cosa mancava quest’anno alla solennità della Pasqua. — Mancava, non per colpa nostra, il Vicario di Cristo: lui partito, rimase il Popolo e Dio.»1

E mentre piacque questo articolo ai repubblicani, che lo innalzarono al cielo, la Speranza dell’epoca lo condannava con queste parole:

«Non è officio nostro il teologizzare e quindi ci teniamo anche dallo sfiorare l’argomento, di cui il giornalista ufficiale fa subietto di discorso. Ufficio nostro però è

  1. Vedi il Monitore del 9 aprile 1849, pag. 309. — Vedi l’opuscolo intitolato la Pasqua di un deputato, nel vol. XXII Miscellanee, n. 9. — Vedi la Pallade del 9 aprile. — Vedi il Costituzionale di detto giorno pag. 172.