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Il Garibaldi però conoscendo i rinforzi sopraggiunti all’oste borbonica, e temendo che gli venisse tagliata la ritirata, divisò di rientrare in Roma, tanto più che avea saputo che il generale Oudinot lanciato aveva alcune cannonate contro le mura di Roma, gittato un ponte sul Tevere, e occupato la basilica di san Paolo; le quali cose davano indizio non dubbio, che ad onta della restituzione dei prigionieri francesi, nudriva sensi d’inalterata ostilità contro i Romani repubblicani. Rientrava quindi in città alle 9 antimeridiane del giorno 11.1 Poco prima eran giunti alcuni che si disser prigionieri napolitani con fucili e altri oggetti.2 Dei cannoni peraltro non si parlò più.

Quanto al fatto di Palestrina questo solo sappiamo, che in Napoli si dette per una vittoria; che Palestrina venne illumipata; e che quantunque il Monitore3 assicurasse che nello scontro l’armata romana avesse avuto pochissimi feriti e meno morti, appena però fu conosciuto in Roma, una quantità di vetture fu inviata in Palestrina per caricare i feriti.

Lo stesso giorno in cui il Garibaldi rientrava, onusto come dicevasi di nuove glorie, si pubblicava un canto rivoluzionario del genere di quelli dell’epoca del terrore in Francia. N’era autore lo stesso Mastrella che figurò fra i membri della Costituente italiana,4 e che dette alle stampe quell’opuscolo di genere socialistico, di cui abbiamo parlato nel capitolo X. Ne trascriveremo alcuni brani affinchè se ne conosca lo stile, e si abbia un saggio degli intendimenti dei partigiani della repubblica rossa. Come poesia ci sembra non valer nulla, ma valere molto d’altra parte perchè ci dà una professione di fede politica degli uomini di quella risma. Ed è a tale effetto che crediamo

  1. Vedi la Pallade, n. 538.
  2. Vedi detta R. 538. Vedi Miraglia, pag. 187, 188.
  3. Vedi il Monitore, pag. 413.
  4. Vedi il Tribuno, n. 1.