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successi, e molto meno raggiunse la meta di mozzare al nemico la linea di ritirata.»1

Parla pure il Torre del fatto di Velletri, e noi rimandiamo alla sua opera i nostri lettori, perchè troppo ci dilungheremmo riportando ancora le sue parole.2

Ascoltiamo però ciò che ne dice il maresciallo Vaillant nella sua opera sull’assedio di Roma, non già che ci dica cose che non conosciamo, o ce le racconti meglio degli altri, ma perchè il suo linguaggio, pel posto eminente che ricopriva, ci sembra soprammodo autorevole, e quindi tale da non doverlo pretermettere.

Diceva così:3

«Il 19 maggio, il generale di divisione Vaillant, del genio, e il generale di brigata Thiry, dell’artiglieria, giunsero al quartier generale; erano inviati ambidue in previsione dell’assedio che si era risoluto di fare se le negoziazioni abortivano.

» Quanto a queste negoziazioni, esse non avevano ancora prodotto che l’armistizio di cui si è parlato di sopra, e delle quali i Romani seppero profittare per iscongiurare il pericolo che li minacciava da un altro lato.

» Infatti, l’armata napolitana forte di 9000 uomini di infanteria, 2000 di cavalleria e 54 cannoni, sotto gli ordini del re di Napoli in persona, aveva occupato, nei primi giorni di maggio, le posizioni contigue ad Albano. In seguito del rifiuto di cooperazione del generale Oudinot, che aveva a questo proposito istruzioni formali, questa armata aveva cominciato il suo movimento di ritirata

  1. Vedi d’Ambrosio, op. cit., dalla pag. 39 alla pag. 47.
          Raffrontato il testo della relazione dei d’Ambrosio stampata in Napoli nel 1851 col lungo brano riportato dall’autore di questa storia, abbiam trovato che in alcuni punti sembra ch’egli fosse contento di darcene un sunto.

    L' Editore.

  2. Vedi Torre, vol. II, pag. 131.
  3. Vedi Vaillant, Siége de Rome ec., pag. 14.