Pagina:Storia delle arti del disegno II.djvu/165

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presso i Greci e presso i Romani. 159

[... e dopo la Macedonia.]

§. 29. Stabilita appena la pace con Antioco gli Etolj, dianzi suoi alleati, presero nuovamente le armi contro i Macedoni, in difesa de’ quali accorsero i Romani, allor loro amici. Fu cinta di stretto assedio la città d’Ambracia, che alla fine s’arrese. Era stata colà altre volte la real fede di Pirro, ed era perciò quella città di molte statue di bronzo e di marmo e di molte pitture ornata, le quali cose essendo venute in potere de’ vincitori, le mandarono tutte a Roma: e lo spoglio fu tale che gli Ambracioti spedirono al senato romano legati a lagnarsi che nessuna divinità si fosse lasciata pel loro pubblico culto1. Il trionfo di M. Fulvio, domatore degli Etolj, fu nobilitato da 285. statue di bronzo, e da 230. di marmo2. Per edificare, ed ornare i luoghi de’ pubblici giuochi, che il medesimo console dar volea, fecersi venire dalla Grecia a Roma gli artisti; e vidersi allora per la prima volta in quella città i lottatori secondo il greco costume3. Lo stesso M. Fulvio, essendo censore insieme a M. Emilio Lepido nell’anno di Roma 573. incominciò ad ornare la città con pubblici grandiosi edifìcj d’un qualche pregio4. Il marmo però non v’era molto comune, non avendo ancora i Romani incominciato a dominare tranquillamente nei confini de’ Liguri, ov’era Luna, oggidì Carrara, daddove il marmo bianco già sin d’allora scavavasi5. Ciò si congettura dal sapere che il summentovato censore M. Fulvio dal celebre tempio di Giu-


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  1. Liv. lib. 38. cap. 8. n. 9., cap. 29. n. 43.
  2. idem lib. 39. cap. 3. n. 5.
  3. ibid. cap.14. n. 22.
  4. idem lib. 40. cap. 28. 29. n. 51. 52.
  5. Del marmo di Luna, come vedemmo nel Tom. I. p. 27. non fecesi la scoperta se non poco prima dell’età di Plinio; onde ne’ tempi della repubblica nessun uso se ne sarà fatto. [ Io ho fatto vedere l’opposto loc. cit. ] Ben è vero però che, dacchè si scoperse tal marmo per la vicinanza delle cave e per la facilita del trasporto, se ne fece un grand’uso; e la maggior parte delle opere di Roma più grandiose e magnifiche, come ci assicura Strabone Geogr. l. 5. pag. 340., in marmo di Luna furono eseguite. Avanti che fosse questo trasportato in Roma con tanti altri marmi forastieri, ed anche in seguito, sebbene per gli usi soltanto più comuni, adoperaronsi altri marmi o sassi somministrati dalle vicine contrade, come il gabinio, l’albano, e il tiburtino. Il gabinio fu cosi detto dai Gabi, popolo presso Preneste, ora Palestrina, dove n’era la cava, Strab. loc. cit. pag. 364. E siccome reggeva al fuoco, si continuava eziandio anche a’ tempi dello storico Tacito Annal. lib. 5. cap. 43. ad alzare con esso le fabbriche sino ad una certa al-