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anzi di riparare i danni, che avea recati alle fabbriche coll’incendio, come dicemmo.

Veniamo ai Romani. Chi saranno quelli, che possano rimproverarsi di aver fracassate statue, e distrutti edifizj? Il Senato forse, il popolo, i Cristiani, i Gentili? Nessuno di questi, presi generalmente. Lo stato della città, e i sin qui descritti monumenti dovrebbero bastare a persuadercene; ma la testimonianza di Procopio ne farà una prova manifesta. Egli racconta1 di non aver conosciuto popolo alcuno tanto impegnato a conservare le fabbriche, le statue, e i monumenti anche meno preziosi; e che a’ suoi tempi era puranche gelosamente custodita in una naumachia la nave fatta tutta d’un tronco d’albero, in cui si credeva approdato Enea in Italia, e ne dà la descrizione: Supra omnes, quos equidem novimus, urbis studiosi suæ Romani res omnes patrias retinere, & conservare satagunt, ne quid antiqui decoris Roma depereat. Et quamvis diu dominationem barbaricam passi sint, urbis tamen ædificia servarunt, & quamplurima, quoad ejus fieri potuit, ornamenta, quibus eam firmitatem industria artificum dedit, ut nec tanta avi longinquitate, nec cura intermissione, detrita fuerint. Imo vero stant adhuc relicta posteris monumenta, quibus gentis origo proditur. In his navis Æneæ, conditoris urbis, etiamnum existit &c. Eam habet navale media in urbe ad Tyberis ripam constructum &c. I Cristiani sono quelli, che s’incolpano più volentieri, e più facilmente. Io non negherò, che taluno di quelli abbia potuto in que’ primi fervori, e rivoluzione ai tempi de’ Costantini, atterrare, e guastare in sua casa qualche statua; ma non già quelle, che stavano in pubblico, o ne’ magnifici palazzi, che erano degl’imperatori, o de’ magnati, buona parte de’ quali fu l’ultima ad abbracciare il cristianesimo. Gl’idoli saranno stati tolti dai


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  1. De bello goth. lib. 4. cap. 22.