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ecclesiastica riunita: mezzo che forse era il solo per allontanare la simonia nelle elezioni, e restituire alla Chiesa pastori degni dell’Apostolato. La Chiesa Milanese era la più importante di ogni altra, per il numero grande delle chiese da essa dipendenti, per l’opinione antica, per la venerazione del suo rito e per l’influenza che aveva l’arcivescovo nella elezione del re d’Italia. In fatti vedremo con quanta ostinazione Ildebrando abbia seguitato il suo piano senza mutare giammai consiglio, malgrado le gravissime difficoltà che vi si frapposero.

Nell’anno 1056 era morto l’imperatore Enrico II, e restava collocato sul trono imperiale un bambino di sei anni, Enrico III, in mezzo alle turbolenze della Germania, sotto la tutela dell’imperatrice Agnese, di lui madre. Durante una lunga serie di anni l’Italia rimase come se non vi fosse un re, ed era libero il campo ai maneggi d’Ildebrando. Cominciarono essi appunto in quell’anno 1056. In quel tempo la Chiesa Milanese ordinava, siccome accennai, sacerdoti anche gli uomini che avevano moglie, e permetteva loro di convivere con essa. Non però ammetteva al sacerdozio coloro che fossero passati a seconde nozze, ovvero avessero presa per moglie una vedova. Non si proibiva poi che un sacerdote, rimasto vedovo, passasse a nuove nozze; ma gli restava sempre interdetto l’esercizio delle funzioni sacerdotali. Pretendevano i nostri sacerdoti che tale fosse il patrio rito sino dai tempi di Sant’Agostino, il quale, come nella forma del Battesimo e in altra parte della liturgia aveva adottata la pratica della Chiesa Greca, così ne avesse accettata anche la disciplina, che accorda il matrimonio ai sacerdoti. Questa opinione è stata contrastata con molta