Pagina:Storia di Milano II.djvu/173

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Le rendite poi del duca a quel tempo veggonsi nel codice medesimo ascendenti a scudi d’oro del sole 499,660, soldi 64, denari 8. Ora computati gli scudi del sole com’erano, una mezza doppia, e i ducati in valore di un gigliato, apparisce che il duca aveva ogni anno una spesa eccedente di più di ventiquattromila ducati, quand’anche nelle spese di capriccio ei non avesse ecceduto.

I Francesi adunque, nel numero di dugento uomini d’armi e ventimila fanti, sotto il comando di Luigi de la Tremouille e del maresciallo Trivulzio, superate le Alpi, scesero verso lo Stato di Milano. A tal nuova i Veneziani si accostarono e si resero padroni di Pizzighettone, di Martinengo e di Cremona. Molti fra i sudditi del duca, malcontenti del governo di un tal principe, bramavano di ritornare sotto il dominio del re Lodovico XII. Un tumulto popolare si eccitò in Pavia, un simile contemporaneamente comparve in Alessandria. Già queste due città non avevano aspettato l’arrivo de’ Francesi per considerarsi suddite della Francia. Messer Sacramoro Visconti, che aveva il comando degli Sforzeschi posti a bloccare il castello di Milano, lasciava segretamente che entrassero di notte le vittovaglie ai Francesi del presidio; il che scoperto, egli si ricoverò nella Francia, ed ebbe dal re la collana, pregevolissima allora, dell’ordine di San Michele. In somma le cose andavano come forz’era pure che andassero sotto di un principe sfornito di mente e di cuore che lo innalzassero sugli uomini volgari, e lo mostrassero degno di comandare agli altri uomini. Gli Svizzeri però vollero sostenere questo duca, e con ciò conservarsi non solamente