Pagina:Storia di Milano II.djvu/217

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La morte del sommo pontefice, che aveva somma influenza negli affari appena innoltrati, cagionò non lieve inquietudine negli animi.

(1522) Al momento che gli avvenimenti cominciarono a mostrarsi prosperi, Francesco Sforza, il quale coi denari somnistratigli da Cesare e dal papa, aveva presi al suo stipendio seimila Tedeschi dal Tirolo, passò nella Lombardia; e come dice Sepulveda: Franciscus quoque Sfortia, quem Germanorum sex milia sequebantur, Mediolanum pervenit, singulari civitatis gratulatione; e ne adduce il motivo, perchè era vir de cujus humanitate, temperantia et justitia, magna erat hominum opinio. Da Trento passò pel Veronese senza ostacolo con seimila fanti tedeschi, ai quali i Veneziani non fecero opposizione, indi per il Mantovano, Casalmaggiore e Piacenza portossi a Pavia. Lautrec e alcuni corpi veneziani s’erano posti a Binasco per impedire la venuta a Milano del duca; ma lo Sforza, còlto opportunamente il tempo, passò a Milano il giorno 4 aprile 1522. Dove è incredibile a dire con quanta letizia fosse ricevuto dal popolo milanese, rappresentandosi innanzi agli occhi degli uomini la memoria della felicità con la quale era stato quel popolo sotto il padre e gli altri duchi sforzeschi, e desiderando sommamente di avere un principe proprio, come più amatore de’ popoli suoi, come più costretto ad avere rispetto e fare estimazione dei sudditi, nè disprezzarli per la grandezza immoderata; e la cronaca del Grumello: fece la intrata in la città Mediolanense con allegria, et tutto il populo con sonar di campane, sparare di artellaria, parendo ruinasse il mondo. Mai fu visto, ne audito tanto triumpho.