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188 libro terzo

per impedire che rendesser perpetua la temporaria loro carica, ò che un di loro più potente si facesse tiranno della sua patria, chiamarono i cittadini a governarli un gentiluomo forestiero col titolo di po­destà, che condusse seco giudici e notai, similmente forestieri; onde fu scemata d’assai l’autorità de’ con­soli a’ quali non rimase propriamente che la presidenza de’ due consigli del comune, ne’ quali tuttavia stava la ragione di far leggi, d’impor tributi, di re­golarne la discussione, di dichiarar la guerra e la pace.

Quest’abbassamento della autorità consolare, e la chiamata d’un podestà forestiero non seguì sempre quietamente; ma fu per lo più l’effetto d’una rivo­luzione. A Torino fu la parte del popolo che operò questa mutazione, e lo inferisco sia dall’indole af­fatto guelfa della medesima, poiché erano i grandi e non i popolani che davan sospetto di tirannide, sia dal trovare nel 1196 col nome del podestà Tom­maso di Nono, legato imperiale, quelli di soli quattro consoli, tutti del popolo, Bosone notaio, Regnaldo Trucco, Castello di Termenao e Damiano: e men­tovato l’assenso della società de’ nobili, come d’una corporazione o collegio particolare.6 Ma non tar­darono i nobili a ripigliare l’autorità che loro era caduta di mano.

Soli tre anni dopo Torino reggevasi di nuovo per consoli maggiori e minori. Maggiori erano Pietro