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Note



(1) Editti del 28 febbraio e 12 d’agosto 1622, e del 18 febbraio 1624.

(2) Mancò allora di vita fra gli altri Cristoforo Pellagnino, lettore di ragion civile nell’università, il quale, riparatosi ad una vigna sui colli to­rinesi, fu tocco il 2 di settembre dalla peste, e nella notte seguente tra­passò, sicché la mattina venendo i monatti a cercarlo per portarlo al laz­zaretto, lo trovarono morto. Morì anche un altro lettore dell’università, il Ceva. Al Pellagnino indirizzò alcuni capitoli Bartolomeo Cristino, il quale era lettore e astrologo d’Emmanuele Filiberto. In tanta miseria costui rimasto in Torino poetava, ed anche un po’ licenziosamente. Sappiamo da lui che un Cacherano soprastava ai monatti, che i canonici e i preti quasi tutti erano ó morti, o ammalati. Il capitolo indirizzato al Pellagnino avea questa epigrafe:

Al signor Pórtacristo Pellagnino,
Già dottore e lettor grave ed arguto,

Or vignarol fuggito da Torino

Per tema d’affrettar suo passo a Pluto.

Ecco la ricetta che Cristino dava per cansar la peste:

Di piacevoli versi o pur di prose
Liete godersi e di cibi migliori

Cibarsi, ber buon vin, fiutar di rose,

O d’altri fiori, o d’aroma ti odori.

V. Miscellanea poetica, ms., nella biblioteca della R. Università.

(3) V. le dotte Memorie ragguardanti alla storia civile del Piemonte nel secolo xvii, del conte Alessandro Pinelli.

(4) Fiocchetto, Trattato della peste di Torino, 123.

(5) Montù, Memorie storiche del gran contagio in Piemonte negli anni 1630 e 31.