Pagina:Stowe - Il fiore di maggio, 1853.djvu/132

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“Augusta cara sorella, posso dunque rivedervi: sclamò egli entrando di botto in casa sua un giorno, e trovandola în atto d’accudire alle cure domestiche:

— Enrico, mio buon fratello!„

Un lampo di subita gioja brillò sul viso della povera donna ed accompagnò quelle parole, l’ultima delle quali spirò tristamente sulle sue labbra giacchè ella aveva volto uno sguardo sull’angusta stanza, e le mobiglie meschine.

“Veggo a quale punto siam ridotti, Augusta. Di passo in passo voi cadete nell’abisso, ove vi trascina un falso sentimento di dovere verso unn uomo, che si è fatto indegno dell’affetto vostro e della vostra pietà. Ma non soffrirò più a lungo: io son qui venuto colla ferma risoluzione di condurvi meco.„

Augusta, volgendosi, diresse volontariamente lo sguardo verso la finestra. Leggevasi a chiare note il suo pensiero sul suo volto. Alla espressione abituale di una dolce armonia successe quella dell’angoscia.

Enrico, diss’ella, volgendosi verso suo fratello, non vi fu donna più felice quant’io lo fui altre volte con lui. Potrò io dimenticarlo? Di tanti che allora lo conobbero chi non l’ammirò e l’amò? tutti l’adulavano e l’inebbriavano: io stessa, ho contribuito a spingerlo su quel sentiero periglioso. Vi cade; nessuno gli fu presto d’aiuto. Io consigliai una riforma; molte fiate promise, risolvette, e si pose in istato di porre ad effetto la sua parola. Ma sopraggiunsero nuove insidie, dalle fila de’ suoi stessi migliori amici, che pur non ignoravano i pericoli della sua posizione. Essi lo spinsero in tal modo fino al punto, in cui abbisognava