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90 PARTE PRIMA

commozione impedito di proferirne di più. Dolsegli forse allora di avere sì tardi cominciato a riguardare l’Italia come la sola contrada in cui potevano avverarsi per lui splendidi destini.

La è cosa da notarsi che nè il principe Eugenio, nè il maresciallo Bellegarde si diedero il minimo pensiero del novello governo instituito in Milano, e dei tanti atti col quale sforzavasi questo d’illustrare il suo avvenimento. Come era facile a prevedersi, nè l’uno nè l’altro non faceano caso se non delle potestà costituite e riconosciute per legali, se non per legittime. Due eranvene in Italia a fronte l’una dell’altra; la potestà franco-itala e la potestà austriaca. Dichiarandosi contro di quella, la contrada non faceva altro che dichiarirsi a pro di questa, e a tal modo fecero ragione delle cose la potestà trionfante non meno che quella decaduta. Quant’è al governo rivoluzionario, che, non essendo sostenuto dall’esercito, avea creduto di piantarsi di mezzo tra i due partiti nemici e farsi riverire da entrambi, non ne fu fatto pur cenno nella novella convenzione che dava l’Italia agli Austriaci. Solo questi fecero le viste di riguardarlo come una congrega di buoni cittadini, solleciti di scampare la patria loro dagli orrori dell’anarchia e di farla passare, senz’agitazioni e trambusti, nelle mani dei suoi signori legittimi. Si può inoltre supporre che, affrettandosi di consegnare tutta la Lombardia agli Austriaci, il principe Eugenio realmente avvisasse di preservarla in tal modo dalle sciagure d’una guerra civile che facilmente poteva accendersi fra l’esercito e i cittadini milanesi. Ma se questa fu sollecitudine del nostro meglio, fu certamente sollecitudine funesta;