Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/253

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che pur aveva calcolato il colpo stupito e malcontento. E del resto quand’erano battute emettevano una polvere di resina che impiastricciava la faccia e metteva in bocca un sapore amaro da cui era difficile liberarsi. Il mestiere di Menina doveva essere piú gradevole. Certo piú bello di tutti era il mestiere del frittolino ed egli giacché non aveva madre avrebbe voluto nascere figlio di quella che aveva la bottega vicino alla loro Calle e smerciava ogni giorno quintali di polenta e quintali di pesce fritto.

Ma insomma mamma Berta gli dava poco da fare tutt’al piú qualche boccaccia quando gli volgeva le spalle. Ricordò invece un problema che lo occupò intensamente per qualche giorno tanto che non dimenticò piú l’ansietà con la quale lo studiò. Mamma Berta gli diceva sempre ch’egli era cattivo mentre Alessandro e Adele gli dicevano ora ch’era cattivo ed ora ch’era buono. Un giorno fra doga e doga egli si domandò: “Sono io cattivo o buono?”. Non pensò neppure per sogno ch’egli avrebbe potuto essere quello ch’egli voleva. No! Si era cattivi o buoni come si era cane o gatto. Il curioso era ch’egli non pensò di esaminare alcuna sua azione per vedere se era cattivo o buono. Teneva il coltellaccio inerte nella destra e pensava. Tentava di guardare se stesso come ci si guarda in uno specchio. Naturalmente vedeva di sé la grandezza, la grossezza e il colore ma non altro. «Vuoi andare avanti?» gli gridò Alessandro. E allora Marianno con gravità infantile gli disse esattamente i suoi pensieri: «Mamma Berta dice sempre che sono cattivo, Adele e tu lo dite talvolta. Sono io cattivo o buono?». Alessandro si mise a ridere: «Quando uno è arrabbiato con te e ti dice cattivo, non devi credergli. E se ti dice buono quando gli hai fatto un favore, non devi credergli neppure». Poi Marianno lavorò in silenzio su varie doghe e finalmente scoperse che non gli era stata data una risposta precisa: «Ma io sono cattivo o buono?». Alessandro si stizzí perché vide che il lavoro non procedeva: «Sarai buono se arrivi a tagliare molte doghe!». E Marianno dovette sorridere. Nella prima gioventú ogni sorriso pervade le piú intime fibre e qualunque pensiero ne viene interrotto. Poi, a