Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/62

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Aghios fu commosso. Egli solo sentiva e sapeva il dolore di non poter vedere se stesso come viaggiava.

Il piacere del viaggio sarebbe tutt’altro se si avesse potuto vedere il grande treno con la sua macchina come procedeva traverso alla campagna, come un serpente veloce e silenzioso. Vedere la campagna, il treno e se stessi nello stesso tempo. Quello sarebbe stato il vero viaggio.

Domandò sorridendo: «È la prima volta che la cara bambina viaggia?».

«Sí!» disse pronta la contadina. «E se ghe ne parla zà da quindese zorni de sto viagio.»

L’Aghios si commosse. Quindici giorni su questo viaggio e trovarsi poi in questa gabbia chiusa! Nella mente giovinetta il viaggio avrebbe dovuto concedere il piacere di una passeggiata senza fatica moltiplicato per infiniti numeri. Quale delusione!

Poi venne il peggio. Il controllore si presentò alla porta a rivedere i biglietti. Quelli dei tre ultimi venuti erano di terza classe ed essi dovettero sgombrare. È vero che alla prossima stazione sarebbero discesi, ma intanto dovevano cambiare di vagone. Per quanto il controllore fosse abbastanza urbano, tuttavia la sua voce ebbe qualche accento imperioso. La bambina non pianse piú e si ficcò timorosa fra padre e madre ch’erano già in piedi. L’Aghios domandò al controllore: «Non si può chiudere un occhio per una stazione sola?». I contadini erano già usciti dallo scompartimento. Il controllore cortesemente disse: «Io faccio il mio dovere».

E l’Aghios deplorò di non aver avuto il coraggio di stampare un bacio sulla fronte della bambina, là, sopra agli occhi chiari che avrebbero voluto vedere il treno. Lui, di seconda classe, per affetto alla terza.

Il Borlini era tutto approvazione: «Ordine ci deve essere». L’Aghios non protestò, perché pensava a cappuccetto bianco come passava fra la gente sul corridoio.

«Quella del treno mi piacque» disse il Borlini. «Tanti bambini tardano molto a intendere le cose. Vuol vedere il treno e c’è dentro.»