Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/65

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la moglie di Lot e guardava dietro a sé. Certo per vedere piú a lungo le cose».

Paolucci Borlini poteva diventare un grand’uomo oppure un triste depravato o infine un uomo comunissimo come lui stesso, il signor Aghios. Meno felice in tutti i casi. Anche per far valere delle grandi qualità ci voleva dell’accortezza. E non avendo questa, si poteva vivere come se la si avesse avuta e traboccare per afferrare le cose di cui l’uso non è concesso che per quella conquista che designano come legittima. O infine poteva adattarsi di vivere la vita piú comune, riservando il libero movimento delle grandi qualità nei brevi intervalli in cui viaggiava.

Addio caro, piccolo fratellino.

Eppure dopo di essersi congedato da lui, il signor Aghios s’imbatté in lui anche una volta. Per dimostrare anche una volta la bestialità del bambino, il Borlini raccontò che una mattina Paolucci si destò affannato e raccontò di aver sognato di asini e cavalli, che gli correvano addosso minacciosi, per dargli calci. E il Borlini, vantandosi, raccontò ch’egli interruppe il racconto domandandogli: «Ti davano dei calci con le zampe anteriori o con le posteriori?». «Con le anteriori!» disse il bambino. «Ebbene!» disse il Borlini. «È un sogno impossibile, perché quegli animali non possono dare dei calci con le gambe anteriori.»

Il signor Aghios rise, ma pensò: “Povero Paolucci! Una vera crudeltà! Spezzare i sogni dei bambini con la scienza.”

E quando Paolucci definitivamente lo abbandonò, egli restò proprio solo col Borlini. Molto solo! Ci furono dei momenti in cui egli rivide uno per uno i simpatici veronesi che lo avevano abbandonato a Porta Vescovo e alla Centrale e ripensò ai due contadini (quell’indimenticabile donna dagli occhi dolci e dalla pelle bruciata!) e pensò che il suo viaggio sarebbe stato ben piú lieto se uno qualunque di costoro fosse rimasto al posto del Borlini. Peccato che quel giovanotto, reso interessante da tanto dolore, continuasse a dormire nel suo cantuccio.

E bisognò parlare col Borlini. Stavano là, seduti a guardare,