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a cosa novissima. Eppure io lottavo per tenere quella musica lontana da me. Mai cessai di pensare: «Bada! Il violino è una sirena e si può far piangere con esso anche senz’avere il cuore di un eroe! Fui assaltato da quella musica che mi prese. Mi parve dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza e mitigandoli con sorrisi e carezze. Ma era Guido che parlava! Ed io cercavo di sottrarmi alla musica dicendomi: «Per saper fare ciò, basta disporre di un organimo ritmico, una mano sicura e una capacità d’imitazione; tutte cose che io non ho, ciò che non è un’inferiorità, ma una sventura».

Io protestavo, ma Bach procedeva sicuro come il destino. Cantava in alto con passione e scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendeva per quanto l’orecchio e il cuore l’avessero anticipato: proprio al suo posto! Un attimo più tardi e il canto sarebbe dileguato e non avrebbe potuto essere raggiunto dalla risonanza; un attimo prima e si sarebbe sovrapposto al canto, strozzandolo. Per Guido ciò non avveniva: non gli tremava il braccio neppure affrontando Bach e ciò era una vera inferiorità.

Oggi che scrivo ho tutte le prove di ciò. Non gioisco per aver visto allora tanto esattamente. Allora ero pieno di odio e quella musica, ch’io accettavo come la mia anima stessa, non seppe addolcirlo. Poi venne la vita volgare di ogni giorno e l’annullò senza che da parte mia vi fosse alcuna resistenza. Si capisce! La vita volgare sa fare tante di quelle cose. Guai se i geni se ne accorgessero!

Guido cessò di suonare sapientemente. Nessuno plaudì fuori di Giovanni, e per qualche istante nessuno parlò. Poi, purtroppo, sentii io il bisogno di parlare.