Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/409

Da Wikisource.
406

che stetti a guardarla come se l’avessi veduta per la prima volta coi suoi corpi gassosi, fluidi e solidi. Se l’avessi raccontata a qualcuno che non vi fosse stato abituato e fosse perciò privo del nostro senso comune, sarebbe rimasto senza fiato dinanzi all’enorme costruzione priva di scopo. M’avrebbe domandato: «Ma come l’avete sopportata?» E, informatosi di ogni singolo dettaglio, da quei corpi celesti appesi lassù perchè si vedano ma non si tocchino, fino al mistero che circonda la morte, avrebbe certamente esclamato: «Molto originale!»

— Originale la vita! — disse Guido ridendo. — Dove l’hai letto?

Non m’importò di assicurargli che non l’avevo letto in nessun posto perchè altrimenti le mie parole avrebbero avuta meno importanza per lui. Ma, più che ci pensavo, più originale trovavo la vita. E non occorreva mica venire dal di fuori per vederla messa insieme in un modo tanto bizzarro. Bastava ricordare tutto quello che noi uomini dalla vita si è aspettato, per vederla tanto strana da arrivare alla conclusione che forse l’uomo vi è stato messo dentro per errore e che non vi appartiene.

Senza esserci accordati sulla direzione della nostra passeggiata, avevamo finito come l’altra volta sull’erta di via Belvedere. Trovato il muricciuolo su cui s’era steso quella notte, Guido vi salì e vi si coricò proprio come l’altra volta. Egli canticchiava, forse sempre oppresso dai suoi pensieri, e meditava certamente sulle inesorabili cifre della sua contabilità, lo invece ricordai che in quel luogo l’avevo voluto uccidere, e confrontando i miei sentimenti di allora con quelli di adesso, am-