Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/109

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pensò l’idea e le parole — sarebbe bello ch’ella passasse per di qua ed io potessi subito dirle che fra di noi tutto è finito. Allora sì che tutto sarebbe finito ed io potrei andare a dormire veramente calmo. Per di qua deve passare!

S’appoggiò ad un paracarro e quanto più attendeva, tanto più forte si faceva la sua speranza di vederla quella stessa notte.

Per essere pronto pensò anche le parole che le avrebbe dirette. Dolci. Perchè no? — Addio Angiolina. Io volevo salvarti e tu mi hai deriso. — Deriso da lei, deriso dal Balli! Una rabbia impotente gli gonfiò il petto. Finalmente egli si destava e tutta la rabbia e la commozione non lo addoloravano tanto come l’indifferenza di poco prima, una prigionia del proprio essere impostagli dal Balli. Dolci parole ad Angiolina? Ma no! Poche e durissime e fredde. — Io sapevo già ch’eri fatta così. Non mi sorprese affatto. Domandalo al Balli. Addio.

Camminò per calmarsi perchè al pensare quelle fredde parole s’era sentito bruciare. Non offendevano abbastanza! Con quelle parole non offendeva che se stesso; si sentiva venire le vertigini. — Così si uccide — pensò — non si parla. — Una grande paura di se stesso lo calmò. Sarebbe stato ugualmente ridicolo anche uccidendola, si disse, come se egli avesse avuto un’idea da assassino. Non la aveva avuta; ma, rassicuratosi, si divertì a figurarsi vendicato con la morte di Angiolina. Quella sarebbe stata la vendetta che avrebbe fatto obliare tutto il male di cui ella