Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/132

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che sul Corso si vedessero sempre le stesse facce e a questo proposito trovò anche deplorevole che la vita di Trieste fosse poco vivace e poco artistica. Non gli si confaceva quella città.

Il Brentani intanto fu preso da un violento desiderio di farlo ciarlare di Angiolina. Di quanto l’altro gli diceva, egli non sentiva che le singole parole, quasi meccanicamente per cercarvi un suono che ricordasse il nome d’Angiolina, e gli desse l’opportunità di attaccarvisi per parlare di lei. Per sua fortuna non lo trovò, ma tutt’ad un tratto, indignato di dover star a sentire tante sciocchezze che l’altro snocciolava lentamente per farle gustare meglio, ruvidamente l’interruppe: — Guarda, guarda, — disse con aria di sorpresa seguendo con l’occhio un’elegante figura di donna che non somigliava affatto ad Angiolina — la signorina Angiolina Zarri.

— Ma che! — protestò il Leardi seccato di essere stato interrotto — l’ho vista in faccia, non è lei.

Ricominciava già a parlare di teatri poco frequentati e di donne di società poco spiritose, ma il Brentani aveva già deciso di non subire più quegl’insegnamenti: — Conosce la signorina Zarri?

— Anche lei la conosce? — chiese l’altro con una sorpresa sincera.

Per il Brentani fu un momento di dubbio angoscioso. Non era certo con l’astuzia ch’egli poteva sperare di far parlare un uomo come il Leardi. Visto che gl’importava tanto di dissipare ogni menzogna che gl’impedisse di scorgere Angiolina quale