Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/145

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Emilio cercò di distrarla; ma non fu ascoltato. Non lo udì neppure il Balli il quale, per quanto non si fosse accorto del sentimento ispirato alla fanciulla, ne subiva una specie di fascino che si tradiva nell’eccitamento cerebrale in cui cadeva sempre quando si sentiva assoluto padrone di qualcuno. Con una grande freddezza Emilio studiava e misurava l’amico. Il Balli aveva dimenticato perfettamente lo scopo per cui era venuto. Raccontava delle storie ch’Emilio già conosceva; si capiva che parlava per la sola Amalia. Erano storie di un genere che già aveva provato sulla disgraziata. Raccontava di quella triste e lieta bohème della quale Amalia amava tanto la gioia disordinata e la spensieratezza.

Quando Stefano ed Emilio uscirono insieme, nell’animo di quest’ultimo era cresciuto enorme l’amaro rancore per l’amico, che in seno gli dormiva da tanto tempo; una frase incauta del Balli, lo fece traboccare: — Vedi che abbiamo passata un’ora gradevolissima.

Emilio avrebbe voluto potergli dire delle insolenze. Un’ora gradevole? Per lui certo no. Egli avrebbe ricordata quell’ora col medesimo ribrezzo che provava per quelle passate col Balli e con Angiolina. Aveva provata infatti a quel pranzo la stessa nota, dolorosa gelosia. Rimproverava all’amico prima di tutto di non essersi accorto del suo mutismo, d’averlo ignorato tanto da credere ch’egli si fosse divertito. Ma poi: come non s’accorgeva che Amalia in sua presenza era colta addirittura da una morbosa confusio-