Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/213

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fronte, appariva come un teschio coperto accuratamente di terra acciocchè non gridasse. — Vedi come la cosa sorge — disse lo scultore, gettando una ochiata, una carezza su tutto il lavoro. — L’idea c’è già tutta; è la forma che manca. — Ma l’idea non la vedeva che lui. Qualche cosa di fine, quasi inafferrabile. Doveva sorgere da quell’argilla una prece, la prece di una persona che per un istante crede e che forse non avrebbe creduto mai più. Il Balli spiegò anche la forma che voleva. La base sarebbe rimasta grezza e la figura sarebbe andata affinandosi in su fino ai capelli, che dovevano essere disposti con la civetteria del parrucchiere più modernamente raffinato. I capelli erano destinati a negare la preghiera che la faccia avrebbe espressa.

Angiolina ritornò alla posa e il Balli al lavoro. Per una mezz’ora ella posò con tutta coscienziosità, figurandosi di pregare, come le aveva ordinato lo scultore, per avere un’espressione di supplice nella faccia. A Stefano quell’espressione non piaceva, e non visto che da Emilio, ebbe un gesto di esecrazione. Quella beghina non sapeva pregare. Piuttosto che rivolgerli piamente, ella lanciava con impertinenza gli occhi in alto. Civettava col signor Iddio.

La stanchezza d’Angiolina cominciò a tradirsi nel respiro affannoso. Il Balli non se ne accorgeva affatto, essendo giunto a un punto importante del suo lavoro: piegava quella povera testa sulla spalla de-