Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/286

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teva trovare una persona che gli avrebbe insegnato a ricordare, la signora Elena. Egli — se lo disse salendo le scale — egli non aveva dimenticata Amalia, la ricordava anche troppo, ma aveva dimenticata la commozione della sua morte. Invece che vederla rantolare nell’ultima lotta, la ricordava quando triste, spossata, con gli occhi grigi lo rimproverava del suo abbandono, oppure quando sconfortata, riponeva la tazza preparata per il Balli o, infine, ricordava il suo gesto, la sua parola, il suo pianto d’ira e di disperazione. Erano tutti ricordi della propria colpa. Bisognava coprire il tutto con la morte d’Amalia; la signora Elena gliel’avrebbe rievocata. Amalia stessa era stata insignificante nella sua vita. Non ricordava neppure ch’ella avesse dimostrato il desiderio di riavvicinarsi a lui quando egli, per salvarsi da Angiolina, aveva tentato di rendere più affettuosa la loro relazione. La sua morte sola era stata importante per lui; quella almeno l’aveva liberato dalla sua vergognosa passione.

— La signora Elena è in casa? — domandò alla serva ch’era venuta ad aprire. In quella casa non si doveva essere abituati a ricevere molte visite. La serva — una biondina gentile — gli impedì il passo e si mise a chiamare ad alta voce la signora Elena. Questa venne nel corridoio oscuro da una porta laterale e si fermò nella luce che usciva dalla stanza.

— Come ho fatto bene a venire! — pensò Emilio giocondamente, sentendosi commosso al vedere la testa grigia di Elena, illuminata debolmente, man-