Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/29

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era la vera espressione perchè era stata lei a pronunziare la parola decisiva che aveva sciolto i Merighi dal loro impegno. Vero è che l’avevano seccata in tutti i modi, lasciando intendere che la consideravano quale un peso nella famiglia. La madre del Merighi (oh, quella vecchia brontolona, cattiva, malata di troppa bile) glielo aveva spiattellato chiaro e tondo: — Tu sei la disgrazia nostra perchè senza di te mio figlio potrebbe trovare chissà che dote. — Allora di propria volontà, ella abbandonò quella casa, ritornò dalla madre — disse dolcemente questa dolce parola — e, dal dolore, poco appresso, ammalò. La malattia fu un sollievo perchè nella febbre si dimenticano tutti gli affanni.

Poi ella volle sapere da chi egli avesse appreso quel fatto. — Dal Sorniani.

Non ricordò subito quel nome, ma poi esclamò ridendo: — Quel brutto coso giallo che va sempre in compagnia del Leardi.

Anche il Leardi ella conosceva, un giovinotto che incominciava allora allora a vivere, ma con una foga che lo aveva posto subito in prima linea fra i gaudenti della città. Il Merighi gliel’aveva presentato molti anni prima, quando tutt’e tre erano quasi bambini; avevano giocato insieme. — Gli voglio molto bene — conchiuse essa con una franchezza che faceva credere nella sincerità di tutte le altre sue parole. E anche il Brentani il quale incominciava a inquietarsi per quel giovine, temibile Leardi che gli si cacciava accanto, a quelle ultime parole si tran-