Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/35

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che saturava l’aria, era bianca, incorruttibile, perchè nulla in lei si fondeva.

Nella vicina faccia della fanciulla, la luce lunare s’incarnava, sostituiva quel colore di bambino roseo senz’attenuare il giallo diffuso ch’Emilio credeva di percepire con le labbra; tutta la faccia diveniva austera e, baciandola, Emilio si sentiva più corruttore che mai. Baciava la bianca, casta luce.

Poi preferirono i boschetti del colle al Cacciatore; sentivano sempre più il bisogno di segregarsi. Sedevano accanto a qualche albero e mangiavano, bevevano e si baciavano. I fiori erano presto scomparsi dalla loro relazione, e avevano ceduto il posto ai dolci che poi ella non volle più per non guastarsi i denti. Subentrarono i formaggi, le mortadelle, le bottiglie di vino e di liquori, roba già molto costosa per la scarsa borsa d’Emilio.

Ma egli era dispostissimo a sacrificare ad Angiolina tutte le poche economie fatte nei lunghi anni della sua vita regolata; si sarebbe ristretto nelle spese non appena esaurita la sua piccola riserva. Altri pensieri lo preoccupavano di più: chi aveva insegnato ad Angiolina a baciare? Egli non rammentava più i primi baci ricevuti; allora, tutto occupato del bacio che dava, non aveva sentito, in quello che riceveva, altro che un dolce necessario complemento al suo, ma gli pareva che se quella bocca fosse stata tanto animata, egli ne avrebbe provata qualche sorpresa. Le aveva dunque insegnata lui quell’arte in cui egli stesso era novellino?