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LIBRO QUARTO 215

rimpetto, che parendo alle spalle comparsi, spaventarono in guisa, che alcuni Romani abbandonarono le trincee, credendole sforzate. Pochi de’ nemici v’entrarono; gli altri morti o feriti i migliori. All’alba furon ripinti suso al castello, che s’ebbe a forza, e i suoi contorni d’accordo: il difese da sforzo o assedio, l’avacciato e crudo gielo del monte Emo.

LII. In Roma, essendo la casa del principe in trambusto, per ordire ad Agrippina la morte, Claudia Pulcra sua cugina da Domizio Afro, di fresco stato pretore, poco noto e frettoloso di farsi per ogni via, fu accusata d’adulterio con Furnio, di veleno contr’al principe e d’incantesimi. Agrippina sempre feroce, e allora infocata per lo pericolo della cugina, ne va a Tiberio, che appunto sacrificava al padre. Quinci mordendolo disse: „Che vale offerir sangue di bestie ad Augusto, chi perseguita il sangue di lui? Quella celeste anima non è scesa in coteste immagini mutole; ma l’immagine vera, nata di celeste sangue, vede i pericoli e sente gli smacchi. Lascia star la Pulcra, che altro peccato non ha che l’essermi divota: nè si ricorda la milensa, che Sosia non per altro capitò male1.„ Tali parole fecero uscir Tiberio, tanto cupo; e ripresela con quel verso greco: „T’adiri chè non regni.„ La Pulcra e Furnio furon dannati: e Afro n’ebbe rinomea tra’ primi oratori: e Tiberio, con l’autorità il confermò. Seguitando l’arte dell’accusare e difendere, acquistò fama di più eloquenza che bontà:

  1. Come sopra a 87. Tutte queste parole d’Agrippina pajon più piccanti che le latine.