Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/40

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LIBRO PRIMO 33

terra te gli sbatacchiano; sessanta addosso a uno, che tanti centurioni vanno per legione, e quelli storpiati, sbranati o morti, scaglian fuori del palancato, o in Reno. Settimio, fuggito al tribunale, fra i piè di Cecina sì chiesto fu, che bisognò darlo alla morte. Cassio Cherea, famoso poi per l’uccisione di C. Cesare, allora giovanetto e fiero, si fece tra le punte degli armati la via col ferro. Nè tribuno, nè il maestro del campo, vi ebbero più potere; le guardie, le scolte e se altro ordine v’era, si spartivan da loro. Segno di grande, e non placabile movimento, agli alti intenditori de’ militari animi, fu il vederli non isbrancati, nè stigati da pochi1, ma uniti accendersi, uniti chetarsi, sì eguali e fermi, che pareano aver capo.

XXXIII. In questo mezzo, Germanico, che pigliava l’estimo delle Gallie, com’è detto, ebbe la nuova della morte d’Augusto; la cui nipote Agrippina aveva per moglie, e di lei più figliuoli: di Druso, fratel di Tiberio, nato era e nipote d’Augusta, nondimeno travagliatissimo, perchè questi, avola e zio, in segreto per cagioni inique, perciò più crudelmente l’odiavano: queste erano, che il popolo romano adorava la memoria di Druso, credendosi, che se avesse regnato egli, avrebbe renduta la libertà2. Quinci era la medesima grazia e speranza di Germanico:

  1. I pochi sollevano, perchè vogliono in compagnia di molti peccare per pena fuggire; perchè dove molti peccano, niuno si gastiga.
  2. Druso scrisse a Tiberio suo fratello di sforzare Augusto a rendere la libertà; il buon Tiberio ad Augusto mostrò la lettera; il mio Druso n’andò al Criatore. Però è detto nel secondo libro, che il popolo, mentre che Germanico trionfava,