Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/285

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vere o false; e non lasciandolo vivere, che accettasse il titolo d’Augusto, ne trasse un sì vano, come fu il ricusarlo.

XCI. La città, che ritrovava d’ ogni cosa la quinta essenza, prese a maluria che Vitellio, fatto Pontefice massimo, bandisse le cerimonie pubbliche per li diciotto di luglio, giorno infelice per le antiche rotte a Cremera e Allia ; sì era ignorante d’ ogni ragione umana e divina , e involto tra liberti e famigliari balordi, e come ebbri. Ma nel far de’ Consoli, chiedeva come gli altri candidati civilmente: nel teatro come spettatore, nel cerchio come partigiano, cercava piacer all’ infima plebe ; grate umanitadi, venendo da virtù; ma sapendosi chi egli era, erano indegnitadi e viltadi. Veniva in Senato a udire eziandio cause leggieri. Avvenne che Elvidio Prisco, eletto Pretore, non sentenziò a suo modo; di che Vitellio prima s’alterò alquanto, e chiamò i Tribuni in aiuto della sprezzata sua podestà. Alli amici, che credendolo molto più adirato, il mitigavano, disse: Non esser cosa nuova lo intendere due Senatori le cose pubbliche diversamente ; aver usato anch’ egli a contraddire a Trasea. Mosse riso la sua sfacciataggine d’agguagliarsi a Trasea; altri lodarono avere scelto lui e non qualche potente, per esempio di vera gloria

XCII. Fece P. Sabino Generale de’pretoriani : Giulio Prisco di Centurione, Colonnello d’una coorte: potenti ambo, Prisco per lo favore di Valente, Sabino di Cecina. Eran discordi : Vitellio niente poteva : e Cecina e Valente governavan l’Imperio. Già si odiavano, e gli odj mal si nascondevano nella guerra e ne’padiglioni; le male biette e la città, feconda