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Queste pagine che mi scrisse durante la sua malattia ne erano la prova più evidente:

«Mio Giorgio — Ti scrivo subito oggi benché il medico me l’abbia vietato. Non posso credere alla mia felicità, a me stessa. Poterti scrivere! Avere una persona cui poter dire ciò che si pensa, ciò che si sente, ciò che si soffre! E sapere che queste sensazioni, questi sentimenti, queste sofferenze sono divisi!… Non l’avrei mai sperato, non l’avrei mai sperato!

Anche prima di essere certa del tuo amore ho voluto illudermi che tu accettassi e avessi care le mie confidenze, ho voluto provare un’ombra di questa gioia, ti ho scritto quasi tutti i giorni; ma mio Dio! sapeva bene che tu non avresti letto quelle pagine, che io mi illudeva, null’altro, che io mi illudeva. Se tu sapessi cosa vuol dire avere il cuore così pieno! E pure...

Ti dirò una cosa che ti farà sorridere. L’anno scorso aveva una coppia di canarini, il maschio è morto quest’inverno — non so come avvenisse, incominciò ad arruffarsi, a tremare, a sonnecchiare, a non mangiar più, e un mattino lo trovai irrigidito sul fondo della gabbia. Ebbene, la femmina, venuta la primavera, ha fatto tuttavia il suo nido, e se avessi veduto con che cura! Non aveva uova e nondimeno covava sempre, covava tutto il giorno, e pigolava in quel metro affettuoso che hanno tutti gli uccelli quando allevano i piccini. Anche oggi che siamo in estate, non si è ancora ricreduta di questa illusione. Quante volte questo povero uccello mi ha fatto pensare a me stessa, e mi ha fatto piangere!

Però tu non vedrai queste pagine, perché allora non mi amavi, perché esse appartengono ancora ad un’epoca del mio passato che ho bisogno di dimenticare per sempre. Se potessi dimenticarlo!

Tu mi devi perdonare le angosce che ti ho cagio-