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amore nell'arte 279

cuore, in cui si dice: basta, te ne scongiuro, lasciami amico, perchè io temo di morire..., io temo che la mia natura s’infranga.

Riccardo non aveva ancora amato: come la maggior parte degli uomini egli aveva trasvolato su tutto, sfiorato tutto; ma non era giunto mai al fondo di un cuore, non aveva conosciuto quel profondo possedimento morale che costituisce unicamente l’amore, che unicamente lo autorizza, che eleva il possedimento fisico fino alla sua celeste sublimità, e la cui privazione fa sì che molti di coloro i quali credono di avere smisuratamente amato, muoiono senza aver conosciuto questo divino sentimento.


Fu quindi una serie di sensazioni nuove e profonde quella che venne a ridestare la sensibilità assopita del giovine. Riccardo si vide come risvegliato da uno di quei sogni, i quali ci sembrano così belli, così lusinghieri nel sonno, e che al mattino ci appaiono insipidi e vani. Allo svelarsi di questa verità egli avrebbe potuto rinvenire un conforto nelle seduzioni della sua vita avvenire, ma questa dolcezza eragli amareggiata da un convincimento terribile, dalla perdita inevitabile di Anna.

Riccardo non poteva illudersi: egli lo vedeva, egli lo sentiva; quello stesso amore, quegli stessi abbandoni della fanciulla scuotevano troppo profondamente la sua sensibilità... oh ella era sì fragile, sì delicata..., l’avresti detta una di quegli steli di giunchiglie che si spezzano sotto il peso di una goccia di rugiada, una di quelle piccole farfalle azzurrine che intorpidiscono e muoiono sotto il soffio più sottile del tuo alito..., e il giovine temeva sovente di abbracciarla, egli poteva stringerla troppo forte, farle male, intorpidire, arrestare quella