Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/155

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gli si rivelò terribile un giorno nell'ira e lo impaurì.

Era un pomeriggio domenicale di giugno e il mondo pareva ad essi tutto una vasta solitudine popolata solo dai fantasmi del loro amore.

I seminaristi erano andati a festeggiare l'ottavario di San Luigi a Settecamini e monsignore aveva pregato Vanna di affidargli il piccolo Monaldeschi; Palmina aveva ottenuto licenza di andare a merendare in un orto con alcune amiche: la padrona di casa di Fritz Langen si trovava dal mattino in brigata fuori di Orvieto col marito e la parentela; insomma gl'innamorati passeggiavano dall'una all'altra stanza dell'appartamentino, allegri come farfalle, ebbri nel sentirsi liberi di ridere ad alta voce e chiacchierare senza mistero. Mai una simile felicità aveva allargato i loro petti, giacchè mai l'intimità per loro era stata altrettanto completa. Il sole cadeva, una luce rossa faceva apparire vermiglie le bianche cortine, le due guglie superiori del Duomo fiammeggiavano nell'inquadratura della finestrella a sinistra, i canarini sembravano impazzire per gioia nell'immensa gabbia e Fritz Langen si teneva monna Vanna seduta sulle ginocchia, cingendole con le braccia la vita. Erano placidi, erano felici, senza timori nè desideri, come quando in una barchetta si scende alla deriva di un piccolo fiume e il cielo è benigno, l'acqua senza una crespa, la riva, stellante di fiori, a portata di mano.

Parlavano tra loro, amichevolmente, di mille