Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/165

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esclamò con amarezza e con una espressione acuta di sofferenza sul viso. - Allora tu non capisci come hai saputo farti amare. Tutto il cuore mi hai preso, e adesso mi cacci via. - Ma la vide rovesciare il capo e torcersi le mani con tale atto di angoscia disperata, che fu vinto da pietà.

— Dolce sciocchina - egli disse con voce che gli tremava, e, incurante di ogni pericolo, la sollevò, se la raccolse esile sul largo petto e le posò una mano sopra i capelli.

— Farò quello che tu vuoi, non piangere. Sì, partirò. Forse hai ragione. Domani saprai cosa ho deciso. - E, poichè nell'anticamera si udì uno scricchiolìo di passi e un battente fu sospinto, Fritz Langen s'inchinò cerimonioso ed uscì, mentre Titta entrava, portando una lampada.

Fritz Langen si dette a riflettere profondamente, camminando solo per le vie di Orvieto, che odoravano di miele, forse pei molti gigli languenti nei giardini, e che somigliavano, in quell'ombra crepuscolare, a cortili ora tortuosi e brevi, ora larghi e fuggenti di un chiostro vastissimo, abitato da religiosi industri nell'educar fiori e coltivare ortaglie, da religiose insigni per silenzio e umiltà.

Egli era diventato amico di tutte le cose umili, che tutte gli parlavano un loro linguaggio. I rami degli alberi, sporgenti dalla cinta dei muri, gli bisbigliavano storie di nidi in primavera; un architrave spezzato di una finestrella corrosa gli narrava di qualche artefice scomparso