Pagina:Tasso - Aminta, Manuzio, 1590.djvu/28

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scena seconda. 19

     125Suſurro mormorò non sò che verſi.
     Ò mirabili effetti. ſentì toſto
     Ceſſar la doglia, ò foſſe la virtute
     Di que’ magici detti, ò, com’io credo,
     La virtù de la bocca,
     130Che ſana ciò che tocca.
     Io che fino à quel punto altro non volſi,
     Che’l ſoaue ſplendor de gli occhi belli,
     E le dolci parole, aſſai più dolci,
     Che’l mormorar d’un lento fiumicello,
     135Che rompa il corſo frà minuti ſaſſi,
     Ò che’l garrir de l’aura infra le frondi;
     Allhor ſentij nel cor nouo deſire
     D’appreſſare à la ſua questa mia bocca:
     E, fatto non sò come aſtuto, e ſcaltro
     140Più de l’uſato, (guarda, quanto Amore
     Aguzza l’intelletto) mi ſouuenne
     D’un’inganno gentile, co’l qual’io
     Recar poteſſi à fine il mio talento:
     Che, fingendo, ch’un’ape haueſſe morſo
     145Il mio labro di ſotto, incominciai
     À lamentarmi di cotal maniera,
     Che quella medicina, che la lingua
     Non richiedeua, il volto richiedeua.
     La ſemplicetta Siluia,
     150Pietoſa del mio male,
     S’offrì di dar aita
     À la finta ferita, ahi laſſo, e fece


     125Susurro mormorò non so che versi.
     O mirabili effetti. Sentì tosto
     Cessar la doglia, o fosse la virtute
     Di que’ magici detti, o, com’io credo,
     La virtù de la bocca,
     130Che sana ciò che tocca.
     Io che fino a quel punto altro non volsi,
     Che’l soave splendor de gli occhi belli,
     E le dolci parole, assai più dolci,
     Che’l mormorar d’un lento fiumicello,
     135Che rompa il corso fra minuti sassi,
     O che’l garrir de l’aura infra le frondi;
     Allor sentii nel cor novo desire
     D’appressare a la sua questa mia bocca:
     E, fatto non so come astuto, e scaltro
     140Più de l’usato, (guarda, quanto Amore
     Aguzza l’intelletto) mi sovvenne
     D’un inganno gentile, co’l qual’io
     Recar potessi à fine il mio talento:
     Che, fingendo, ch’un’ape avesse morso
     145Il mio labro di sotto, incominciai
     A lamentarmi di cotal maniera,
     Che quella medicina, che la lingua
     Non richiedeva, il volto richiedeva.
     La semplicetta Silvia,
     150Pietosa del mio male,
     S’offrì di dar aita
     A la finta ferita, ahi lasso, e fece

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