Pagina:Tassoni, Alessandro – La secchia rapita, 1930 – BEIC 1935398.djvu/263

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dichiarazioni di g. salviani 257


come quello del marchese Sforza Pallavicino. E l’altro, che stimava piú due paia di guanti che l’immortalitá, meritava d’esser levato da tappeto.

S. 44, v. 7: Gli animi vili, purché salvino la pancia, non si curano di perder l’onore.

S. 46, v. 3: S’andò a mettere in casa d’un cardinale suo paesano senza essere invitato, e convenne, volesse o no, ch’egli l’alloggiasse; perciò che non bastarono né parole né fatti a farlo uscire di quella casa.

S. 46, v. 7: Il manuscritto dice: «A quel becco del Turco un marchesato». É veramente fu vero ch’egli da un principe greco si fece investire d’un marchesato nelle provincie del Turco, e pagò il titolo, chi dice una mano di scudi, e chi dice una dozzina di salami.

S. 31, v. 4: Alcuni interpretano costei per una certa spagnuola detta dogna Maria di Ghir, che stette un tempo in Roma puttaneggiando, e mandò fallito questo eroe romanesco.

S. 57, v. 1: La flemma nel petto de’ poltroni resiste alla collera in maniera che prima che la collera si riscaldi ci bisognano dieci guanciate. E veramente succedé un giorno che trovandosi il conte alla finestra, e passando due spagnoli, uno con la spada e l’altro prete, ed essendo la strada piena di sole, egli chiamando un suo uomo di casa, disse: — Mira come questi marrani godono d’andare al sole. — Gli spagnoli l’intesero: e quel dalla spada sopra la voce «marrano» gli diede una mentita e lo sfidò a venire a basso a duello: ma egli ridendosi di lui rispose che aveva burlato e che a Roma non si faceva quistione; e non si mosse dalla finestra, veggendo che l’uscio era chiuso.

S. 60, v. 2: L’intacca di que’ vizi ne’quali per l’ordinario suole incorrere la plebe di Roma.

S. 61, v. 3: Si vituperò da se stesso: perché veramente fu vero ch’egli accusò la moglie d’adulterio, e la fece metter prigione insieme con l’adultero, ch’era persona assai vile.

CANTO DUODECIMO

S. 1, v. 4: Il vero testo stampato in Parigi e ’l manuscritto dell’autore dicono: «E mandava indulgenze per gli altari». In Roma fu corretto per non parer che si dileggiassero le azioni d’un papa e le sue indulgenze: ma si guastò il ridicolo che cadeva a tempo.