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teofrasto


[testo greco] in latino è crudelitas, asperitas. Ma «asperità» in italiano, seppure è possibile adoperare tal vocabolo per traslato, è troppo grave. E poiché alla lettera trattasi di «asperità di consuetudine di vita nelle parole», traduco senz’altro «sgarbatezza di parole».

Non è facile tradurre [testo greco]; ma per un passo di Aristotele, nel quale leggesi, come del resto già in Erodoto e Senofonte, di cosa che fu venduta a ottimo prezzo, [testo greco] praestantissima contra aurum venit, non mi pare possibile altra traduzione che quid preti mereat (haec res)?

Letteralmente «potrebbero essere non dati». Ogni altra interpretazione non avrebbe senso.

Non espungo l’[testo greco] dei codici, ma lo correggo con altri filologi in [testo greco].

Non credo sia da espungere [testo greco] o l’[testo greco]. Stabilito che il primo significa più frequentemente «aver pazienza» e il secondo significa «aspettare», non capisco perché giocando sui due sinonimi Teofrasto non possa aver detto quel che noi traduciamo nel testo. Anche qui i filologi per troppo vedere hanno veduto poco: e dunque conservo la lezione, tanto piú che allora, in antico, non essendoci orologi da tasca, gli appuntamenti esigevano pazienza, e la pazienza anche lunga era segno di buona creanza.

Che erano consuetudini della buona società, e un uomo di spirito e bene educato avrebbe, allora, dovuto osservarle per rimaner ligio alle cosiddette convenienze.

Teofrasto ha scritto che non si saprebbe essere uomini virtuosi senz’essere anche uomini pii; e che la religiosità non consiste in celebrar numerosi sacrifizi, il che sarebbe segno di fastosa opulenza, ma nell’omaggio che un’anima pura e onesta rende agli dèi.

    sono molti; ma è chiaro che noi dobbiamo tradurre col vocabolo più conveniente alla descrizione del carattere. Più innanzi, traduco [testo greco] con «screanzato», poiché l’italiano «malcreato» significa tutt’altra cosa ed è assai più forte.


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