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cio, e per dir la verità un po’ di rimorso l’avevo anch’io. Un mattino lo sorpresi mentre in fretta e in furia stava facendo le sue valigie; non mi disse dove andava, non mi disse perchè partiva, mi rispose per monosillabi, con impazienza nervosa. L’accompagnai sino alla stazione, e in mezzo al gran brulichio della folla sembravami completamente sbalordito; al momento di prendere il biglietto mi domandò se quella corsa coincidesse colla partenza del piroscafo da Napoli per Costantinopoli.
— Ma dove vai? gli chiesi alfine.
— Non lo so; vado a Napoli per ora. To’, guarda! E con improvvisa risoluzione mi mostrò un biglietto di visita sul quale era scritto:
« Vi amo, parto, addio. »
Nient’altro; il nome era stato raschiato col temperino, e sul biglietto rimaneva soltanto una corona di conte, in alto, e quella sola linea fine, elegante, ondulante, che sembrava sdraiarsi mollemente sotto quella corona, stirandosi le braccia, proprio per far perdere la testa al mio povero