Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/370

Da Wikisource.

libro terzo 321


di que’ di Tiberio. Ci ha fatto egli stesso nell’ultima elegia del libro iv, delle sue poesie scritte in tempo del suo esilio e da lui perciò intitolate Malinconiche; ci ha fatto, dico, un sì esatto racconto della giovanile sua vita, che appena ci rimane a esaminare cosa alcuna. Io ne farò qui un breve compendio che non abbisogna di prove, perciocchè tratto dalla medesima elegia. Narra egli dunque di se medesimo: che era nato in Sulmona, città che ora appartiene all’Abbruzzo, l’anno stesso in cui morirono i due consoli Irzio e Pansa, cioè l’anno di Roma 710; ch’era di antica equestre famiglia; che aveva un fratello maggior di un anno, insieme col quale mandato a Roma e posto sotto la direzione de’ più celebri precettori che allor ci vivessero, mentre il fratello un singolar genio mostrava per l’eloquenza, egli al contrario sentivasi unicamente allettare dalla poesia; che sgridato dal padre e ripreso, perchè abbracciasse uno studio per cui invano sperato avrebbe di arricchire, sforzavasi egli pure di applicarsi all’eloquenza; ma che mentre prendeva a scrivere in prosa, faceva, quasi suo malgrado, de’ versi; che finalmente in età di venti anni gli morì il fratello, ed egli cominciò ad entrare nelle cariche della Repubblica; ma che venutigli a noia cotali onori, abbandonò ogni cosa, e di altro più non curossi che della poesia. Annovera quindi i poeti da lui conosciuti e trattati, le diverse poesie che ne’ primi anni compose, le tre mogli che una dopo l’altra egli ebbe, la figlia che dalla terza gli nacque, e i nipoti che questa gli diede, la morte