Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/217

Da Wikisource.
180 libro

in mezzo alle sottigliezze e a1 raffinamenti che ad ogni passo si trovano. Non vi è quasi un tratto di eloquenza sciolta e magnifica; non una descrizione e un racconto facile e naturale; non un passo valevole ad eccitare affetto di sorta alcuna. Sembran cose composte solo a mostrar l’ingegno di chi le ha composte; ma spesso ci fan bramare eli’ egli del suo ingegno avesse usato più saggiamente. X. Di somigliante natura sono le Declamazioni che abbiamo sotto il nome di Quintiliano. Ma prima di parlare di esse, ci fa d’uopo dir qualche cosa di questo illustre scrittore, e del1 opera che a lui certamente appartiene, delle Istituzioni oratorie. Enrico Dodwello ha scritto coll’usata sua diligenza gli Annali della Vita di Quintiliano, che il Burmanno ha aggiunti alla sua magnifica edizione di questo autore, pubblicata in Leyden l’anno 1720. Egli intento a fissar le diverse epoche della vita, non molto si è trattenuto sulla quistion della patria; ma si mostra più favorevole a coloro che il voglion romano, che non a quelli che lo dicon nativo di Calaorra in Ispagna (Ann. Quint. n. 9). Questi si appoggiano alla Cronaca Eusebiana in cui Quintiliano vien detto ex Hispania Calaguritanus (ad olymp. 217), e vi si narra ancora ch’egli da Galba fu condotto a Roma (ad olymp. 211); innoltre all’autorità di Ausonio che così dice: Adserat usque licet Fabium Calaguris nlumnum In Professar. Burdìg.; finalmente a quella di Cassiodoro che parimente