Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/260

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alcuna agli affari? La maraviglia può cader solamente sopra Svetonio e sopra Quintiliano. Ma quegli, se Curzio era retore, ne avea veramente scritta la Vita, come si è veduto; se non era nè retore nè gramatico, che motivo avea egli di favellarne? Quintiliano rammenta • molti Romani celebri pe’ loro studi e per l’opere loro. Ma qualunque siane la ragione, nel ragionar degli storici ei non rammenta che Sallustio, Livio e Basso Aufidio; e se il silenzio di Quintiliano dovesse bastare per escludere dal numero degli storici quelli de’ quali egli tace, converrebbe ancor rigettare le Storie di Cornelio Nipote, di Velleio Patercolo, di Valerio Massimo, oltre tante altre che allor leggevansi certamente, ed ora sono perdute. XIII. Lo stile di Curzio è colto, elegante e fiorito, benchè, non sempre uguale a se stesso, si risenta anche esso talvolta de’ vizj di una decadente latinità. Ama assai le descrizioni, e talvolta più ancor del bisogno; non si lascia però trasportare dall’ambizione di comparir ingegnoso, difetto comune agli scrittori di questi tempi; par solo ch’ei cerchi di comparir elegante; e questo è ciò che talvolta lo rende vizioso. Ciò non ostante non è mancato chi gli desse il vanto sopra tutti gli altri storici (V. Bayle Dict. art. « Quinte Curce »); e vedremo a suo tempo che Alfonso I re di Napoli ne era rapito per modo, che alla lettura di esso attribuì la guarigione di una grave sua malattia. Intorno agli altri pregi che debbono adornare una storia, se Curzio abbiagli, o no in se stesso riuniti, si è lungamente e