Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/350

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Capo VI.

Medicina.

I. No„ vi è scienza la qual sembri che dovess’essere coltivata tanto studiosamente in Roma, quanto la medicina; e nondimeno non vi è scienza per avventura che più sia stata per molti secoli trascurata ivi e negletta. In vece di applicarsi a conoscer l’origine e la natura de’ mali, e a scoprirne quindi i più opportuni rimedii, i medici de’ tempi di cui parliamo (che di essi soli io intendo di ragionare) altro pensier non aveano che di oscurare la gloria de’ lor rivali, e d’innalzarsi sopra le loro rovine. Se uno erasi acquistata gran fama, sorgeva un altro, e derideva ei’impugnava il metodo seguito dal primo, non perchè fosse pericoloso o nocivo, ma perchè quegli ne era stato l’autore. In meno di un’secolo tre diversi sistemi di medicina vidersi introdotti in Roma da Asclepiade, da Temisone, da Antonio Musa, come nel precedente volume si è dimostrato. Ciascheduno di questi sistemi fu ricevuto dapprima con sommo plauso; e si credette che gli uomini usando di esso, per poco non sarebbono stati immortali. Ma al proporsene un altro,il primo fu tosto dimenticato, anzi all’averlo seguito imputaronsi le malattie e le morti di’ erano finallora accadute, e che nel nuovo sistema ancora accaddero ugualmente. Questa medesima incostanza mantennesi in Roma anche a’ tempi di cui ora dobbiam favellare,