Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/41

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SECONDO C83 Per lei le sette erranti e C altre fisse Stelle poi vidi; e le fortune e i fati, Con quanto Egitto e Babilonia scrisse; E più luoghi altri assai mi fur mostrati Ch’Apollo ed Esculapio in la bell’arte Lasciar quasi inaccessi ed intentati. Volava il nome mio per ogni parte: Italia il sa , che mesta oggi sospira, Bramando il suon delle parole sparte. Dunque da te rimuovi ogni sospetto E se del morir nuo P infamia io porto, Sappi che pur da me non fu ’l difetto. Che mal mio grado io fui sospinto e morto Nel fondo del gran pozzo orrendo e cupo , Nè mi valse al pregar esser accorto: Che quel rapace e fam aleuto Lupo Non ascoltava il suon di voci umane, Quando giù mi mandò nel gran dirupo. Siegue indi a narrare ch’egli avea ben preveduto di dover morire in somigliante maniera, e che perciò partendo da Padova era venuto a Firenze presso Lorenzo de’ Medici? ma che ivi appunto avea incontrato il suo infelice destino j e conclnudc predicendo le più funeste sventure a chi l’avea sì barbaramente trattato: Sappi, crudel, se non purghi ’l tuo fallo , Se non ti volgi a Dio, sappi cip io veggio Alla ruina tua breve intervallo; Che caderà quel caro antico seggio C Questo mi pesa) e finirà con doglia La vita, che del mal s’elesse il peggio. Il Sanazzaro non nomina l’autore di questo misfatto. Ma è chiaro abbastanza eli’ ei parla di Pietro de’ Medici figliuol di Lorenzo e se il poeta scrisse quest’elegia alcuni anni dopo