Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 2, Classici italiani, 1824, XV.djvu/153

Da Wikisource.

TF.RZO 677 in quelle degl’Incogniti (p. 227), figliuol di Alessandro cavaliere di S. Stefano, fu, ancor fanciullo, inviato paggio a Ferrara nella corte del duca Alfonso II, e coltivò singolarmente lo studio della giurisprudenza. Fu poscia in Genova presso il principe Doria, di cui suo padre era cavallerizzo, c tornalo indi a Bologna, e annoiatosi presto del severo studio delle leggi, tutto si diè alla volgar poesia e all’imitazione del Marini e dell’Achillini. Fu per qualche tempo in corte del Cardinal Pio Emanuele di Savoia, e passò poscia a quella del Cardinal Francesco Barberini, con cui mentre viaggia per mare in Ispagna, sorpreso da febbre, in età ancor fresca morì in Barcellona a’ 6 di aprile del i(ìa(3. Non molte sono le Poesie che se ne hanno alle stampe, perchè non molti furon gli anni ch’ei visse. Ma nulla avrebbe perduto la poesia italiana, se niuna ne fosse fino a noi giunta; così son esse scipite, e piene solo di quelle metafore e di quo1 ghiribizzi che allora si rimiravano come portenti d’ingegno. Vili. Benché la maggior parte degl’italiani vi», poeti andasse follemente perduta dietro lo slil n0 del Marini e de’ suoi ampollosi seguaci, alenili j! nondimeno possiamo indicarne che tenendosi «<• sul buon sentiero, non vollero traviarne, e se non ebber coraggio di opporsi all’uso e allo stile comune, il seguiron però assai più parcamente, e si sforzarono di compensare con nuovi pregi quegli stessi difetti ne’ quali quasi lor malgrado cadevano. Fra essi è degno di distinta menzione il conte Fulvio Testi. celebre non men per gli onori a cui giunse, che